Zone economiche speciali (ZES): opportunità fiscali e rischi geopolitici

Zone economiche speciali

Le Zone Economiche Speciali, conosciute con l’acronimo ZES, sono aree geograficamente delimitate in cui vigono regimi normativi ed economici agevolati rispetto al resto del territorio nazionale. Queste zone vengono istituite dai governi per attrarre investimenti, favorire l’industrializzazione, creare occupazione e stimolare lo sviluppo regionale. Nate originariamente in Asia, in particolare in Cina negli anni Ottanta, si sono poi diffuse in Africa, America Latina, Europa dell’Est e, più recentemente, anche nel Sud Italia.

Ogni ZES è concepita con obiettivi specifici che variano in base al contesto: alcune puntano sulla logistica e sulle esportazioni, altre sul manifatturiero ad alta intensità di lavoro o sulla ricerca e sviluppo tecnologico. In molti casi, le ZES si trovano nei pressi di porti, aeroporti o snodi infrastrutturali strategici, per facilitare il commercio internazionale. I modelli asiatici, come quelli di Shenzhen e di Hainan, hanno rappresentato una svolta nella politica industriale globale, dimostrando che con un mix di incentivi fiscali, semplificazioni burocratiche e visione strategica è possibile trasformare intere regioni in poli di sviluppo.

Negli ultimi anni, le ZES sono diventate anche strumenti per testare riforme normative, attrarre competenze tecniche e favorire processi di internazionalizzazione. Alcuni Paesi le hanno trasformate in vere e proprie piattaforme di innovazione, in cui sperimentare nuovi modelli produttivi, servizi digitali, tecnologie verdi e forme di governance economica più snelle rispetto al resto del territorio nazionale.

Incentivi fiscali e vantaggi per le imprese

Uno degli elementi più attrattivi delle ZES è l’insieme di agevolazioni fiscali pensate per rendere più conveniente l’insediamento delle imprese. In molti casi si tratta di esenzioni totali o parziali dall’IRES per i primi anni di attività, aliquote ridotte per i successivi, e deduzioni su costi specifici legati all’occupazione o agli investimenti. Alcune ZES offrono anche un’IVA agevolata per le operazioni interne o verso l’estero, favorendo così le attività produttive orientate all’export. In alcuni contesti, si prevedono anche crediti d’imposta per l’acquisto di beni strumentali e sgravi contributivi per le nuove assunzioni.

Non si tratta solo di fiscalità. Le imprese insediate in una ZES godono spesso di vantaggi logistici importanti: accesso facilitato a infrastrutture moderne, snellimento delle pratiche doganali, sportelli unici per le autorizzazioni, riduzione dei costi amministrativi. Il tutto si traduce in un ambiente più efficiente e prevedibile per fare impresa, che può rappresentare un forte stimolo anche per investitori stranieri alla ricerca di hub produttivi competitivi e regolati. Alcune ZES prevedono anche servizi di consulenza dedicata, incubatori di impresa e programmi di accompagnamento all’export.

In alcuni Paesi, le ZES sono state utilizzate anche per favorire la transizione ecologica, attraverso incentivi mirati per impianti a energia rinnovabile, mobilità elettrica, trattamento dei rifiuti e progetti di economia circolare. Questo approccio ha reso le ZES non solo zone di vantaggio economico, ma anche laboratori per una crescita sostenibile e inclusiva.

Le ZES in Italia e in Europa: casi e prospettive

In Italia, le ZES sono state introdotte per promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno, con particolare attenzione ai territori con ritardi strutturali. Le aree portuali di Napoli, Gioia Tauro, Taranto e Brindisi sono alcuni esempi emblematici di zone in cui si cerca di attrarre investimenti attraverso una combinazione di incentivi fiscali, accesso facilitato ai fondi europei e infrastrutture dedicate. Le ZES italiane sono integrate con il PNRR e con i fondi strutturali 2021-2027, il che ne rafforza la capacità attrattiva. Sono previste anche sinergie con la ZLS (Zona Logistica Semplificata), che permette ulteriori agevolazioni alle imprese esportatrici.

A livello europeo, alcuni Paesi dell’Est hanno adottato modelli simili, in particolare Polonia e Ungheria, che hanno visto nelle ZES un modo per attrarre capitali e know-how industriale da Germania e Asia. Tuttavia, l’Unione Europea pone vincoli stringenti sugli aiuti di Stato, motivo per cui le ZES devono essere costruite con attenzione, nel rispetto del principio di concorrenza e delle normative sul mercato unico. L’Italia ha cercato di mantenere questo equilibrio, puntando su un modello che incentiva la produttività senza creare distorsioni permanenti.

In prospettiva, il successo delle ZES italiane dipenderà anche dalla capacità di attrarre investimenti stabili, di attivare filiere locali e di creare un tessuto produttivo connesso all’innovazione. Le ZES potrebbero diventare anche uno strumento per rilanciare l’occupazione giovanile, la formazione tecnica e il rientro di competenze dall’estero, contribuendo a riequilibrare lo sviluppo territoriale e a rafforzare la coesione economica e sociale.

Rischi geopolitici e criticità operative

Nonostante i vantaggi, investire in una ZES non è privo di rischi. In alcuni Paesi, l’instabilità normativa rappresenta un problema ricorrente: regole che cambiano nel tempo, ritardi nell’attuazione dei benefici promessi, ambiguità nei rapporti tra autorità locali e centrali. A questo si aggiunge, in contesti più fragili, il rischio di corruzione, mancanza di trasparenza e difficoltà nella tutela legale dei diritti economici. Inoltre, la mancanza di infrastrutture adeguate o di capitale umano qualificato può limitare l’efficacia delle misure previste.

Sul piano internazionale, le ZES possono anche essere oggetto di tensioni geopolitiche. Le accuse di dumping sociale, l’utilizzo delle ZES per aggirare dazi o regole ambientali, o la concentrazione di capitali stranieri in settori strategici, possono alimentare sospetti e portare a restrizioni da parte di altri Paesi o blocchi economici. La questione non è solo economica, ma anche reputazionale: le imprese che operano in ZES considerate opache o troppo politicizzate rischiano di subire conseguenze in termini di immagine e accesso ai mercati internazionali.

Altri fattori da tenere in conto sono i cambiamenti normativi introdotti da enti sovranazionali, come l’OCSE o l’UE, che potrebbero incidere sulla durata o sull’intensità degli incentivi. Inoltre, è necessario valutare la sostenibilità ambientale dei progetti promossi all’interno delle ZES, per evitare impatti negativi a lungo termine su territorio, comunità locali e biodiversità.

Cosa valutare prima di investire in una ZES

Prima di investire in una Zona Economica Speciale, è fondamentale condurre una due diligence approfondita, sia dal punto di vista fiscale che legale. Verificare la coerenza tra le promesse normative e la loro effettiva implementazione è cruciale per evitare sorprese. Inoltre, valutare l’affidabilità delle autorità locali, la stabilità politica del territorio, e l’esistenza di accordi bilaterali che possano facilitare le operazioni transfrontaliere. È opportuno considerare anche la qualità delle infrastrutture esistenti e il grado di digitalizzazione dell’area.

Un altro elemento chiave è la scelta delle partnership locali. Collaborare con operatori già presenti sul territorio può facilitare l’inserimento e ridurre i rischi operativi. Infine, è bene definire fin da subito una exit strategy: sapere quando e come disinvestire, in che condizioni e con quali tutele. Le ZES possono offrire opportunità reali, ma solo se affrontate con consapevolezza, preparazione e un’attenta valutazione delle condizioni al contorno. Una gestione lungimirante consente di massimizzare i benefici e mitigare i rischi, trasformando la ZES in un motore duraturo di sviluppo per l’impresa e per il territorio.